14 maggio 2018
Da più parti, si invoca il rispetto per i giornalisti. Addirittura Reggio Calabria è stata, recentemente, teatro di un grande convegno dove si è mosso il gotha locale e nazionale di sindacato e ordine professionale. Una umana rivendicazione dei diritti di tutti gli attori della informazione. Va bene. Tutti difendono i propri veri e presunti diritti. Ma una buona autocritica, vera, onesta, reale la si trova raramente. Ma siamo certi che, oggi, tutti quelli che scrivono sono degni di una difesa d’ufficio anche quando la penna uccide più di un’arma letale? lo sono certo del contrario. Vale la mia opinione? Essa è maturata in venti anni di televisione, ma soprattutto nella vita vissuta e negli incontri di ogni tipo, avuti con giornalisti, editori, sindacalisti del settore. Non c’è alcun dubbio che esistono principi della penna e grandi professionisti che per la loro schiettezza onorano l’arte dell’informare anche mettendo a repentaglio la propria incolumità personale e, ancora peggio, quella della loro famiglia, ma una buona parte non merita il rispetto dell’opinione pubblica. Appartengono a questa sottocategoria coloro i quali prendono di mira persone e personaggi scrivendo di tutto e di più, senza riscontro alcuno o peggio, modellando a loro uso e consumo, le notizie e mescolando il vero col falso, tanto da far diventare ambedue le cose credibili. Salvo poi in un angolino a fine articolo, scrivere, il contrario di tutto. Tizio è amico di caio, dove tizio è accusato, ancora non condannato – di reati gravi. Congetture, allusioni, accostamenti improbabili che diventano, per il lettore, verità confezionando un bell’abito per il malcapitato. Ma alla fine, primeggia, si far per dire – una nota che sentenzia che il tizio non è nemmeno indagato! Quest’ultimo, ma solo lui, si domanderà a lungo: ma se non sono neppure indagato, perché mai questo articolo? Di che informa? Quale è la notizia? Che giornalismo è questo? Episodi di tal genere se ne potrebbero raccontare a migliaia. Dunque, il quesito sorge spontaneo – come direbbe un noto conduttore televisivo – nel senso che bisogna chiedere rispetto e considerazione anche per questi avanguardisti dell’informazione? Rispetto di che? Delle idiozie che scrivono? In questo il web, ahinoi, è deleterio. Testate insulse che si reggono sulla maldicenza, che raccolgono giornalisti pellegrinanti e maldicenti per vocazione, occupano il panorama spesso offendendo l’art. 21 della Costituzione Italiana. È vero che lo stesso assicura la libertà di Stampa, ma questo non vuol dire proprio che sia possibile scrivere ogni e qualunque cosa. La stessa Costituzione argina questo diritto, erigendo limiti invalicabili che vanno dal rispetto della morale alla tutela dei minori, dalla intangibilità della privacy al rispetto della persona. Ma, credo che mai nessun articolo della più bella Legge di cui disponiamo, sia stato tanto violato e talvolta offeso. Una domanda sul rispetto per questa categoria, della quale – peraltro – come pubblicista faccio parte – siamo davvero costretti a rispettare quei giornalisti Rai che in occasione del giro d’Italia hanno insolentito la Calabria? Ritengo proprio di no. Reagiamo invece. Se fosse possibile chiederei ai calabresi di non pagare il canone Rai. Chi pagherebbe per essere coperto di insulti? Chi reagisce a questo ennesimo gratuito attacco della Stampa contro una Regione che, avrà pure i suoi demeriti ma, è popolata in massima parte da gente laboriosa, onesta e capace. Dove è la Stampa calabrese? La politica rappresentativa? Queste affermazioni televisive fanno molto male a noi calabresi. La fama che ci siamo fatti è del tutto immeritata. È la colpa è nostra che ci freghiamo le mani quando una testata titola in negativo anche quando il negativo non c’è. Le storielle popolari che vedono il calabrese godere della morte della capra del vicino, ahimé, sono fondate. Curiamo la capra del vicino, invece di augurarle di finire i suoi giorni. Parliamo in positivo e zittiamo le Cassandre locali prima e nazionali dopo. Non godiamo del male altrui, perché quello che spesso viene riportato su certa stampa, sopratutto on line, è solo spazzatura spacciata allo spaccio della cattiveria pura. Non ne sentiamo il bisogno come uomini e come calabresi. Dove è il sindacato dei giornalisti, che entra spesso a gamba tesa per difendere qualche suo iscritto di comodo, senza curarsi dei danni che fa a chi, innocente in assoluto, subisce la mancanza di professionalità del loro apodittico protetto? Dove è lo stesso sindacato quando non controlla le testate amiche sulle regolarità contributive? Dove è il garante per l’editoria e quali provvedimenti disciplinari prenderà sui cronisti Rai che, invece di illustrare il Giro d’Italia, si lasciano andare a descrizioni sulla mafia, sulla nostra regione terra di veleni, massacri e malaffare? Per non parlare poi di quelle trasmissioni televisive che si sono letteralmente sostituite ai tribunali civili, amministrativi, penali ed, addirittura, allo stesso Parlamento! La forza della Stampa, sia essa televisiva, cartacea o online è enorme. Ancora oggi la gente sostiene, spontaneamente, che se l’ha detto la televisione o l’ha scritto il giornale,la notizia è vera. Questo suggerirebbe un maggiore controllo di se stessi quando si esercita una delle professioni più belle del mondo. Il giornalismo è in agonia ed i giornalisti veri sono pochi. Esempi ne abbiamo in positivo, ma come al solito sono affossati da quella informazione in mano ai sensazionalisti, agli scopritori di scoop falsi ed a coloro i quali fondano su rapporti preferenziali il loro effimero successo dovuto, come sempre, al fatto che la gente ama le notizie cattive piuttosto che quelle positive. È come quegli automobilisti che rallentano il traffico per soddisfare la curiosità di vedere l’incidente avvenuto nella corsia opposta! Non fermatevi! Né sulla strada nè a leggere o ascoltare chi del male tenta di farne un arte. Maramaldo non era calabrese.