Caro Don Valerio…

6 aprile 2017

Caro Don Valerio, non sei solo a pensarla così. Inizierei così una lettera a supporto, di quanto, con molto coraggio, ha scritto Don Valerio Chiovaro, un sacerdote amico della città e dei giovani, soprattutto, che ha ben capito cosa significhi rendere la città più appetibile, più vera, in estrema sintesi, più vivibile. Mi ha molto colpito I’esternazione diffusa ieri da Don Valerio, per la sua incredibile quanto reale descrizione della città nella quale viviamo. I punti di contatto, con quanto vado affermando, con forza in ogni sede possibile, sono tanti, come tanta è la contrapposizione con chi continua a defraudare questo Territorio del diritto di avere una fama, che non sia solo quella della ‘ndrangheta e della mafia. Esistono, non v’è dubbio alcuno, ma sono realtà circoscritte al maledetto traffico degli stupefacenti e ad attività di infimo ordine, rappresentate da manovalanza e da illeciti arricchimenti di piccolo cabotaggio. La mala che, ahinoi, conta, sotto il profilo del valore economico, sta ben lungi da questa città. “Qui si campa d’aria, per parafrasare la canzone di Otello Profazio, ma quest’aria è ammorbata da una assuefazione diffusa alla totale scomparsa dei valori civici, intellettuali e morali. Qualunque cosa succeda, si alzano simultaneamente le spalle in un eloquente gesto di assoluto menefreghismo, convinti come siamo che tanto nulla può cambiare. E di conseguenza agiamo, sopportando di tutto. Qui qualcuno appare soventemente in televisione per farci sapere che tutto è mafia. Qui la Stampa dedica le prime pagine solo alla cronaca nera. Qui alcuni giornalisti, fortunatamente non quelli seri, si sostituiscono ai magistrati ed emanano sentenze, titolando a caratteri cubitali, anche semplici, quanto non credibili, affermazioni di gente la cui credibilità è pari a zero. Ma non importa, colpiamo in alto, quanto più possibile, e se di mezzo ci va una persona perbene – notoriamente – tanto meglio. Lo scoop fasullo fa sempre rumore. Tanto rumore per nulla. Qui diventa delitto anche la libera espressione di un giudizio, peggio ancora, se ti permetti di dire che un avvenimento, di cui sei stato testimone oculare, è falso. Qui se entri in un negozio, dove per caso acquista un mafioso, che neppure conosci, neanche di nome, per la proprietà transitiva, diventi mafioso anche tu. La mafiosità è diventata una malattia infettiva: tu non la vuoi contrarre, ma ti colpisce per semplice continuità. E un raffreddore dal quale non puoi difenderti, anche se lo vuoi. Non solo, ma ti rendi conto, che se usi gli antibiotici antimafia rischi di peggiorare le cose. Reggio come Milano ai tempi descritti dal Manzoni è diventata una città appestata. Forse per questo, non vogliono fare arrivare neppure gli aerei, per metterci in quarantena e non rischiare il contagio. I giovani se ne vanno, non solo perché non trovano lavoro, fuggono per vivere meglio. Normalmente. Civilmente. Quelli che restano o si assimilano, o peggio, cercano il potere a tutti i costi. E quando lo raggiungono, magari ingannando i loro stessi coetanei, che vanno a cercare nelle discoteche per estorcere loro il voto all’ultimo momento, diventano peggio dei più vecchi dei vecchi, quelli che non sono riusciti ad esercitare un mestiere o una professione qualunque e s’inventano quello di strateghi della politica, pontificando, supponendo e tenendo sotto scacco quei quattro servi sciocchi, che in attesa di una elemosina di potere, abbassano la testa, si vendono il testosterone che hanno, ed obbediscono pedissequamente al potente di turno. Senza neppure fare il minimo ragionamento. Obbediscono e basta. In tutto questo, Reggio vive come un terreno di coltura, con la “O”, per personaggi che non hanno sangue calabrese, ma che vengono qui solo in attesa di promozioni, denigrando il territorio, perché così facendo, emerge la loro opera di apparente pulizia. E le persone perbene? Se ce n’è qualcuna fanno come gli alberi di Nicola Giunta: “Si carcunu ‘ndi sciurisci, ‘nci minunu petrati non mu crisci”. Ma in che Paese viviamo? Vogliamo risvegliare le intelligenze e l’orgoglio di Uomini, prima ancora che di calabresi? Vogliamo dire no alla mafia, alla ‘ndrangheta, ma anche alla falsa antimafia e a chi gestisce il potere in maniera così anomala? Vogliamo veramente consegnare ai giovani, una società dove il merito la faccia da padrone, dove chi è mafioso va in carcere, ma chi è persona perbene viene rispettato, soprattutto da chi la Legge la deve garantire? Stiamo vivendo un vero e proprio ricorso storico. Nel 1861, all’indomani dell’Unità d’Italia, abbiamo subìto la Legge Pica, abbiamo subìto le menzogne di chi ci voleva a tutti i costi popolo di briganti e passava per le armi anche i bambini. Oggi, stiamo vivendo la stessa situazione, ci uccidono con le carte bollate, con gli appellativi nefasti, con le menzogne che ci vedono mafiosi tutti e a tutti i costi, anche quando la mafia ci fa ribrezzo e la combattiamo quotidianamente, talvolta anche contro uno Stato patrigno che ci isola, ci prende in giro, ci chiama metropolitani quando non viviamo che da trogloditi. Non serve dire che quando una povera ragazza si suicida abbiamo perso tutti, perché perdiamo tutte le partite della vita che giochiamo: deludendo quotidianamente i giovani, le persone perbene e i grandi lavoratori da cui questa Terra è abitata. Aveva ragione Alvaro: “la peggiore iattura di un popolo è quella di convincersi che vivere onestamente sia inutile”. Ma noi non vogliamo crederci. Carissimo, non ti curar dei soliti noti che ti verranno contro e ti apostroferanno come prete dell’elite, perché non soltanto hai dimostrato di essere un grande faro per tutti i giovani, ma soprattutto la gente la pensa esattamente come te. Solo che ha, purtroppo, paura di esprimersi. Quella paura che nasce da questo clima di grande inquisizione che stiamo vivendo.

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