17 febbraio 2016
Probabilmente Francesco Cilea, quando scrisse la celeberrima area dell’Arlesiana voleva riferirsi alla sua Terra di Calabria. È la solita storia! Lo scenario è la nostra Terra, i personaggi cambiano volto, ma non ruolo, ed i problemi rimangono sempre gli stessi. Il risultato è terribile, perché ogni cosa si riconduce alla mafiosità, generalizzando, ed infangando una Terra, già di per sé piena di contraddizioni, di brutta fama e, ahinoi, di sfortuna. Non sono sufficienti gli sforzi che, la gran parte dei cittadini, presenti o meno nelle Istituzioni, stanno facendo per combattere la mafiosità con la cultura. Arte pittorica, scultorea, musicale, musei aperti, Stati Generali della Cultura, il Conservatorio Cilea che sforna talenti quasi quotidianamente, Università che laureano professionisti di spessore, beni confiscati restituiti alla pubblica fruizione, scuole secondarie che si classificano ai primi posti nel panorama nazionale, sembrano non essere sufficienti a scrollarci di dosso la brutta fama e l’associazione che si fa nel citarla in ogni dove, tra Calabria e mafia. Non è una levata di scudi del mondo intero contro la Calabria, è piuttosto, una maledetta amplificazione di ciò che c’è. Chi può fa da cassa di risonanza alla fama negativa a tal punto, che anche una “bravata” diventa azione mafiosa. E richiama la stampa nazionale più di quanto lo possa fare un fatto positivo, un talento calabrese che scopre le onde gravitazionali. Da noi, purtroppo, si bruciano autobus, s’incendiano asili, si spara alla gente in pieno giorno, si mandano intimidazioni pesanti, come quella di ieri, al professore Bombino, Presidente dell’Ente Parco. Il tutto per affermare, prepotentemente, l’arroganza di una sparuta minoranza potenziata e virulentata da trionfalistiche affermazioni che vorrebbero la mafia sconfitta, o quantomeno, depotenziata. Se lo Stato vuole vincere davvero può farlo non a sirene spiegate, ma nel silenzio dell’azione penetrante dei suoi uomini migliori. Che tali sono, non perché appaiono sulle prime pagine dei giornali, ma perché agiscono con capacità e determinazione e grande spirito di sacrificio. No alle ribalte, si ai fatti concreti. Il professore Bombino, persona mite, ma al tempo stesso determinata, sta dirigendo il Parco dell’Aspromonte con quella saggezza tipica della persona di cultura che si presta al pubblico interesse. È evidentemente questa, la colpa attribuita dal maledetto tribunale della mafia, quello dove i falsi giudici e gli pseudoavvocati sono sempre e soltanto contro la legalità e le persone perbene. Un Tribunale anomalo che, abusando di questo titolo, emana sentenze senza appello, con quella novella giustizia sommaria, che dalla storia è stata sempre attribuita a chi non avrebbe mai potuto avere ragione, se non con l’affermazione della violenza a tutti i costi. Per completare il quadro preoccupante, molte persone perbene abbandonano, o hanno abbandonato, il ruolo di amministratori pubblici, perché stritolati, da una parte dalla malavita organizzata (chiamasi ‘ndrangheta o mafia), e dall’altra da uno Stato spesso patrigno che, talvolta, li abbandona alla solitudine amministrativa, tal’altra li costringe a difendersi, anche nei Tribunali, dall’accusa di reati impossibili. Accuse che spesso intaccano la serenità anche delle famiglie. Quelle vere. Quelle aduse a vivere nell’assoluta legalità e a difesa di essa. SEMPRE. SENZA SE E SENZA MA. Aveva ragione Sciascia quando sosteneva che primo o poi l’agire dello Stato si sarebbe avvicinato alla protervia della mafia, prevaricando, accusando ingiustamente e mantenendo sul filo del rasoio gente perbene, al solo scopo di mettere a tacere le voci scomode anche per qualche frangia dello Stato. Voci che, spesso, rivendicano, diritti pubblici e difendono intere popolazioni. Non tutto è oro quello che luce! Bombino non cederà, ma fino a quando potremo chiederglielo? E quanti Bombino ci sono in Calabria? Si potranno mai accontentare della solita storia dei vuoti messaggi di solidarietà che piovono a iosa per i primi giorni, per poi tradursi nel nulla più assoluto? Io non esprimo solidarietà a Bombino, gli dico solo che sono al suo fianco con coraggio, e con questo editoriale lo dimostro, ponendomi contro chiunque gli impedisca di fare il suo dovere, con le sole armi pacifiche che conosco. La mafia la combatto con la cultura, sotto qualunque forma essa si manifesti, difendendo la mia Terra anche contro chiunque e in qualunque posizione si trovi, la definisce, a prescindere, per dirla con Pino Toscano, Terra di mafia. Non è la diffusione della negatività la ricetta giusta per vincere la mafia.