15 novembre 2010
Se c’è una cosa che ancora fa indignare tutto il popolo reggino, o quasi, è il vedere la città di Reggio indicata come cloaca, come nel caso di un famoso giornalista di Repubblica, o come capitale del malaffare e dell’intrallazzo politico, come dipinta da uno dei più noti quotidiani Italiani. Apriti cielo, quando a parlare male di Reggio fu Antonello Venditti. Ci mancava poco che non si tornasse alle barricate degli anni 70! E quando una televisione d’oltremanica andò a filmare i profilattici e le siringhe sul Corso Garibaldi, oggetti che poco prima aveva essa stessa provveduto a collocare nei posti giusti, ci mancò poco che non si dichiarasse guerra all’Inghilterra! Tutto giusto, o quasi. Nulla di più giusto che un popolo difenda il proprio orgoglio. Ma quello che proprio non riesco a capire, è perché la stessa compatta reazione, questa volta in positivo, il popolo non la mette in atto quando – e non succede spesso – di Reggio si parla bene a livello nazionale. Le due differenti reazioni sono inspiegabili, se non banalmente. Da una parte, ci si solleva con una finta indignazione, si grida all’offesa, si riuniscono consigli e la stampa titola a tutta pagina chiedendo la testa di colui che ha offeso un popolo antico e nobile. Si grida che la notizia che ci riguarda è sempre negativa. Che Reggio conquista le prime pagine della stampa nazionale solo per la ‘Ndrangheta, la mafia, il traffico d’armi e gli omicidi. Dall’altra, quando il più grande esponente della cultura musicale italiana ed internazionale, il Maestro Riccardo Muti, cita Reggio quale esempio positivo e la riscatta, attribuendogli il merito di aver dato vita ad un fenomeno virtuoso di eleganza e talentuosità, tutto tace. La stampa tace. Il popolo tace. La politica tace. I soloni tacciono. Gli sciacalli reggini tacciono. Vergogna. Vergogna. È proprio vero Nicola Giunta aveva ragione. Su tutta la linea. Riccardo Muti, da anni ormai, è diventato il testimonial della nostra Terra. La onora ogni momento. Non sale sul podio per dirigere, in un qualunque teatro del mondo, se non con due gocce di essenza di bergamotto nel fazzoletto. Non perde occasione per osannare i ragazzi di Delianuova. Ne parla ovunque. Li porta ad esempio. Li descrive come giovani eleganti e musicisti meravigliosi. Ma li lega fortemente alla positività della terra di Calabria, che indica come nobile e pregiata. Nello stesso giorno, rilascia una lunga intervista all’inserto del Corriere della Sera e dedica tanto ma tanto spazio a Reggio, dove qualcuno gli ha parlato dei musicisti dell’Aspromonte, (ma chi sarà mai questo qualcuno?) e lui lega la città indicandola come fucina di cultura, capace di promuovere attività di grande livello. Poi va da Fazio, a Rai Tre, e non contento, si lascia andare ad un discorso che non può fare altro che far venire i brividi a chi ha sangue vero, calabrese, nelle vene. ”Parliamo delle cose positive che vengono dal Sud, dice, a non meno di quattro milioni di spettatori”! Scusate se è poco. Ma la cosa passa in sottordine, al pari della notizia dello smarrimento di un pur simpatico cagnolino da passeggio. Che tristezza! Si direbbe che questa Città si unisce solo nelle calamità e non riesce nella gioia collettiva, quelle poche volte che si realizzano le condizioni per sentirsi giustamente e non apoditticamente orgogliosi. Colpa di chi? Dei soliti nani? Dell’invidia? Della triste cappa che sovrasta Reggio? O forse più semplicemente di quell’invidia dell’intelligenza, che si ostina a non riconoscere i giusti meriti a chi lavora disinteressatamente per il bene vero della città? Dobbiamo ancora assistere al trionfo dell’ignoranza e dell’incultura o finalmente vogliamo reagire tanto da far trionfare il Dio Merito sopra ogni cosa? Sarebbe ora!