11 aprile 2009
Negli anni 90 davanti al ritrovo Morabito, subito dopo a Piazza De Nava, appollaiata sui motorini, e via via davanti al Matteotti, poi ai Lidi e ora sulla scalinata e sulla rampa di accesso al Tempio della cultura Reggina: il Cilea. Chi? La bella gioventù reggina! Una sorta di migrazione dettata dalla moda del momento o da non so quale “flauto magico” che sembra far scaturire, dal mozartiano strumento, una melodia capace di attirare ragazzi e ragazze, facendoli radunare, come i topolini del grande Andersen, ora qua, ora la. Una scelta decretata per caso. Una scelta senza apparenti motivazioni. Ti puoi arrovellare il cervello quanto vuoi, ipotizzare le manovre più complicate, non riuscirai mai a capire che cos’è che aggrega quei giovani, griffati, fumanti, neri e ciarlieri, li proprio li. E non altrove. Poi vai col pensiero ai tanti teatri del mondo, che hai avuto modo di frequentare, fortunato tu, e ripercorrendo con la mente le facce del pubblico, ne ricordi a centinaia, a migliaia di giovani di ogni razza, attenti e plaudenti alle opere di Verdi, Puccini, Schubert e via via così. Ti capita allora di riflettere, allorquando esci dal Teatro Cilea, dove hai assistito ad una serata di grande livello, con interpreti che altrove sono ricercati ed osannati, dove eri in compagnia di sole 107 persone sui 900 posti disponibili. E il dramma è più acuto quando pensi che la sera prima, tu accanito musicofilo, ne avevi contato appena il doppio. La tua disperazione culturale raggiunge l’acme quando, varcato il gran portone del Cilea, il passo, fino ad allora spedito e senza ostacoli, diventa difficile e obbligato a slalom per la miriade di presenze: fuori dal Teatro!! E ti domandi: ma perché? È forse la nostra gioventù sorda alla cultura musicale? Ma non siamo italiani anche noi? E non è, forse, il popolo italiano, cultore della musica? Qui bisogna correre ai ripari! Siamo ancora in tempo. Inutile prendersela con la stagione sbagliata o con le scelte infelici del Palazzo Comunale. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. L’Amministrazione ha le sue responsabilità, ma sarebbe troppo riduttivo e qualunquista attribuirle tutte le colpe. Che il cartellone debba essere rivisto, curato ed affidato ad una valutazione esperta e popolare, non v’è dubbio, ma quando sul palcoscenico c’è una arpista come Cecilia Chailly, un astro mondiale ed un direttore come Morandi – tra i migliori sul podio – cos’altro vuoi di più?… Beethoven in persona? No. Qui l’analisi è più semplice. I trent’anni di chiusura del nostro Teatro hanno fatto si che i giovani di oggi non abbiano mai assistito ad una rappresentazione teatrale. Volete che ve lo dica più semplicemente? I nostri ragazzi non sanno cosa sia il Teatro! Forse, e senza forse, non ci sono mai entrati! Come volete che varchino quella soglia? Hanno paura. Hanno paura di non capire cosa succede in quelle poche centinaia di metri quadrati, off limit, per loro. Temono di non poter essere sicuri come lo sono sulla strada. Profondi conoscitori come sono di ogni centimetro lineare del Corso Garibaldi. Temono il confronto. Snobbano. Ma per paura Hanno timore di affezionarsi a quel tipo di spettacolo che non ritengono alla loro portata. Temono di essere, poi, derisi da quelli che, comunque, non entrerebbero mai. Sarebbero visti come alieni, corpi estranei, alternativa positiva all’inutile bighellonare senza meta, sigaretta e parolaccia in bocca, per sentirsi più adulti. lo non ho la ricetta, né mi sento il fratello maggiore di Zaratustra. Ma sono fortemente convinto che bisogna, far qualcosa. Non è ammissibile che si parli della cultura come antidoto per la ndrangheta, il malaffare, l’inciviltà e poi nulla si faccia per far si che i nostri giovani la incontrino, questa benedetta cultura! Un ruolo fondamentale lo deve svolgere la Scuola. Si accompagnino le scolaresche a teatro, si indichi la via della conoscenza dell’arte più antica del mondo. Della palestra più attrezzata per imparare gli esercizi della vita… Politicamente,parafrasando il noto detto del profeta Maometto, l’Amministrazione comunale porti il teatro fuori dalle sue mura. Già dalla prossima opera in programma, il Sindaco – responsabile massimo del Cilea – permetta a noi di RTV, che amiamo questa città a dismisura, di collegare un maxi schermo sulla scalinata del Cilea: si veda fuori ciò che accade dentro! È l’unico modo per portare in platea quei 500 giovani che stanno fuori. Una sorta di servizio a domicilio della cultura! E se il domicilio dei nostri giovani è la strada, ebbene, si riporti il teatro in strada: non sarebbe una novità! Ma l’efficacia è certa. Se la scelta dell’opera non ci convince, perché forse è meglio salire i gradini ad uno ad uno, ci piace l’idea che il grande nostro concittadino, Giuseppe Filianoti, che del Werther di Massenet è grande interprete mondiale, possa essere apprezzato da molti, anzi da moltissimi, dentro e fuori il Cilea. Chissà… forse il “flauto magico” potrebbe attirare i nostri ragazzi verso mete e luoghi di ritrovo più salubri, con qualche sigaretta e qualche griffe in meno e, magari, qualche nota in testa, in più. Quelle stesse che trasformano il protagonista del grande austriaco, da giovane ignorante e debole, in saggio, sapiente e uomo, attraverso la scoperta dell’amore ed il superamento di varie prove. Proviamo.