20 febbraio 2018
C’è un principio che vale per tutti i media ed è quello che non riconosce loro il diritto di cronaca nel pubblicare foto raccapriccianti e impressionanti. Anzi, la cosa potrebbe costituire reato. Parlo con cognizione di causa, oltre che come giornalista pubblicista, anche e soprattutto, quale docente di Etica della Comunicazione presso l’Università “D. Alighieri” di Reggio Calabria. È ben vero che la libertà di Stampa è tutelata dalla Legge e da uno specifico articolo della Costituzione Italiana, ma ciò non vuol dire che si possa pubblicare di tutto e di più. Se così fosse, lo stesso articolo 21 non vieterebbe la pubblicazione a stampa o, in qualunque altro modo, di manifestazioni contrarie al buon costume. È naturale che bisogna concordare sul significato di buoncostume. Ai miei studenti spiego che il significato è da intendersi nel rispetto del comune sentimento della morale e dell’etica. Anche la legge n° 69 del 1963, sull’ordinamento della professione giornalistica, impone il rispetto della dignità della persona, principio confermato da una miriade di sentenze della Corte Costituzionale, tra le quali vorrei ricordare la n° 112 del L993 che, tra l’altro, tornando sul rispetto della dignità umana, introduce quello sul libero sviluppo psichico e morale dei minori. Ancora più preciso e calzante sull’argomento, che andrò a trattare in modo specifico da qui a poco, è l’articolo 15 della legge sulla stampa n° 47 del 1948 che punisce, con la pena della reclusione da 3 mesi a 3 anni, testualmente: “la pubblicazione di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. L’assunto dell’art. 15 è stato ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale nel 2000 con sentenza n° 293 che, in estrema sintesi, asserisce autorevolmente l’assenza di contrasto con la Costituzione, proprio perché tutela la dignità umana. Viene ancora a sostenere la tesi che oggi faccio mia, ma la cui paternità è del Procuratore della Repubblica Gaetano Paci, la III sezione penale della Suprema Corte che nel 2007 con sentenza n° 23356 sancisce che l’esercizio del diritto di cronaca, pur pienamente legittimo, in una società democratica ed aperta, deve salvaguardare il comune sentimento della morale e la dignità umana, rilevando che le immagini di una vittima di un omicidio sono tali da destare impressione e raccapriccio nell’osservatore di normale emotività, improntata ad impulsi di solidarietà umana, pietà per il defunto, rispetto per le sue spoglie, repulsione istintiva verso le ferite efferatamente impresse, salvaguardia della dignità della persona già uccisa in quel modo ed ulteriormente oltraggiata dalla pubblica ostensione del suo corpo, naturale esigenza di riservatezza verso l’intimità fisica personale, rinforzata dalla condizione mortale del soggetto. Questo lungo preambolo, frutto di breve ricerca, in confronto alle migliaia di pagine sull’argomento, che comunque portano alle medesime conclusioni, giova a riconoscere la saggezza del Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria nell’indirizzare una pacata, ma seria lettera ad un giornale online della nostra città, con la quale chiedeva il perché dell’ampio servizio fotografico sul recente omicidio verificatosi nella frazione di Gallico. Ad una domanda non solo lecita ma, a mio parere, dovuta e fin troppo gentile, l’editore di queste note pagine online, arrampicandosi sugli specchi, ha risposto cercando di difendere un diritto che, come sopra ampiamente dimostrato, il suo giornale non ha. La cosa più sconvolgente, però, è che egli ha concluso la risposta, a mio sommesso parere, irriverente, concedendo una sorta di “contentino” e dichiarando la sua disponibilità a diminuire il numero di foto raccapriccianti, senza però rimuoverle tutte. Come se l’eventuale reato perpetrato, fosse direttamente proporzionale al numero di foto! La violazione di legge o c’è o non c’è! Da una parte sono rimasto sconcertato, dall’altra, conoscendo lo stile dell’editore, autore, giornalista, noto soggetto stazionante nei corridoi della Procura, la meraviglia si è data una ragione! Pubblicare quelle foto, come tante altre sull’argomento, equivale all’aggettivare notizie insignificanti con termini quali “clamoroso”, “eclatante”, tali da indurre con i titoli ad un giudizio negativo anticipato di un qualcosa che non esiste. Soprattutto se questo riguarda persone notoriamente perbene. Come pure l’uso di espressioni quali ”tizio, noto malvivente, vuota il sacco!” servono ad indurre chi legge ad aspettarsi chissà quali dichiarazioni possano rivelare reati infamanti, collusioni, delitti. Poi vai a leggere e trovi ciò che Iago, nell’Otello di Verdi, ritiene ci sia dopo la morte: il nulla! È la tecnica che giornali simili utilizzano per cercare di rendere vera una notizia falsa: basta porre in relazione l’una all’altra. Insomma, un costrutto tra foto, aggettivi e caratteri di stampa che attirino l’attenzione del lettore, conferendo allo scritto dignità di notizia e non importa se la dignità umana, la verità, l’etica vadano al diavolo. Ed ecco che per nulla condivisibile è la giustificazione che il giornalista dà circa la liceità delle foto pubblicate: non è la foto di un uomo morto, sia pur coperto da un lenzuolo, che può aiutare a smuovere quel senso di giustizia che è presente nei reggini e nei calabresi (come argomenta l’editore): ma, è condannando questi gesti con il lavoro quotidiano, con il rispetto della legalità, della dignità umana, con la difesa delle persone perbene, che si stimola il senso di giustizia, non certo con i delitti della malavita organizzata, la quale si bea della diffusione mediatica delle sue nefaste imprese. Qui si getta fango su tutto. A spruzzo. E questo giova a perpetuare l’assioma secondo il quale Reggio e la Calabria sono sinonimi di mafia, ‘ndrangheta, omicidi e malaffare. Facciamo e pubblichiamo le foto delle imprese dei nostri studenti, dei nostri uomini di cultura, dei nostri operai che lavorano, dei nostri monumenti, delle nostre biblioteche, dei nostri musei! Non mettiamo certo la polvere sotto il tappeto, ma releghiamola nel posto che merita! Grazie Procuratore per aver sollevato il problema e per aver saputo, con stile, bacchettare chi dell’uso della Stampa, sia pure online, ne fa uno strumento non certo frutto di passione, ma ricco di artifici che rendono, talvolta, insopportabile la lettura. Noi abbiamo bisogno di condannare tutto ciò che è illegalità, ma non è detto che questa sia da una sola parte. Dalla prima ci si può difendere, da quella che opera sotto mentite spoglie, è davvero difficile. Si cela sotto troppe maschere.