29 settembre 2012
Fortunatamente, poche volte ci sorprendiamo a pensare su cosa ci possa essere dietro I’angolo. Dopo la Morte. Millenni non sono stati sufficienti; migliaia di pensatori e filosofi lo hanno fatto, senza sapersi e saperci dare una risposta. Credibile. Riscontrabile. Per molti interviene la Fede, per altri lo scetticismo. Per altri ancora, il nichilismo. Fatto sta che ognuno si prepara all’ineluttabile come meglio crede… o non ci pensa, o fa finta. C’è un momento in cui, però, ci pensiamo tutti. Quando ci capita di assistere ad un funerale, ancor di più se è di un parente o un amico. Una persona che abbiamo conosciuto. Riflettiamo. Ci incupiamo. Nonostante tutto questo però operiamo, involontariamente, un distinguo. Soprattutto noi che, in un modo o nell’altro, informiamo, scriviamo sui giornali e sulle televisioni. Alla morte di quello che definiamo un personaggio, scriviamo, lo osanniamo spesso molto più di quanto il meschino abbia potuto meritare. E tanto più alto è il grado nella società civile, raggiunto dal defunto, tante più parole spenderemo per ricordarlo. Paradossale è il caso in cui le apologie provengono da chi, in vita, del de cuius è stato nemico. Non c’è da meravigliarsi. Sono le leggi di una società che dovremmo, in buona misura, cambiare. Magari rileggendo quel manifesto di semplicità che, in tema, è la famosa “LIVELLA” del grande Totò. Io I’ho fatto. Appena congedatomi da un funerale che accompagnava all’estrema dimora un ufficiale della Polizia Municipale, scomparso quando ancora avrebbe potuto dare tanto alla famiglia ed alla Città. Un eroe silenzioso della quotidianità. Un uomo serio, equilibrato. Innamorato del suo ruolo e della divisa che portava. Rappresentava nel Corpo dei Vigili un punto di riferimento. Corretto, austero, dotato di uno stile ineguagliabile, col suo berretto d’ordinanza calato sulla fronte, forse per darsi un aspetto più burbero, quando era più buono del pane, ha insegnato a tanti giovani l’arte – perchè di questo si tratta- di servire, sorridendo. Il suo Comandante, i suoi colleghi, la gente non lo hanno dimenticato, e nelle commosse parole di Alfredo Priolo, c’eravamo tutti. A me il compito, disponendo di una tv, di ricordarlo alla Città. Il tenente Alfredo Antonio D’Ascola, Nino per gli amici, non è più. La Città si unisca attorno a questi eroi che nel silenzio di ogni giorno la fanno vivere tra mille difficoltà e spesso con una considerazione della gente, ingiusta e immeritata. Grazie Tenente, per averci dato una lezione di umiltà, di semplicità, di rigore. Speriamo che il suo esempio rassereni i rapporti tra chi deve rispettare la Legge e chi, elemento giudicato scomodo, deve farla rispettare. E Le raccomando, lassù, non tolga mai quel berretto!