1 maggio 2009
Che io sia un difensore della mia Città è cosa nota. Ci credo. Vi sono nato e pur non condividendo, spesso, la mentalità dei miei concittadini, nutro per essa lo stesso sentimento che alberga nel cuore di chi ama. Tuttavia, se qualche anno fa mi avessero detto che Reggio sarebbe stata riconosciuta quale città metropolitana, avrei stentato a crederci. Non perché Reggio non si presti, per conformazione geografica, per ubicazione, per il suo interland, ma perché il vittimismo che regna tra noi è tale da superare anche, e di gran lunga, quello leopardiano. Prima che strutturalmente, infatti, la città deve convincersi che una coesione mentale ancor prima che tecnica, è necessaria. Infatti, giungendo a Reggio per via aerea, l’occhio del viaggiatore non può, avvicinandosi allo Stretto, non percepire come un tutt’uno Reggio, Villa e Messina. Se, poi, il punto di vista si alza, in tutti i sensi, si aggiungono naturalmente le sue coste: fino a Gioia Tauro sul Tirreno, e Locri sullo Jonio. Ma se l’occhio umano può ipotizzare questa conurbazione, il pensiero – maggiormente quello politico – suffragato da quello dell’uomo della strada, fa un po’ più fatica. Le due sponde non si amano. Neppure si odiano. Regna piuttosto l’indifferenza. Qualche puntata qua e là di campanilismo in occasione delle dispute calcistiche, null’altro. Eppure l’osmosi è un processo assai attivo tra le due, oggi, metropoli. Dall’Università, ai distretti militari, dagli uffici ai servizi, lo scambio di intelligenze, utenze e rapporti umani, è da tempo immemorabile, concreto e possente. Ma questo processo è solo superficiale. Non vi è mai stata una vera e propria integrazione socio culturale. Medesimo fenomeno lo si riscontra tra la Città e la sua provincia. Eppure, spesso, i paesi limitrofi dimostrano di essere gran serbatoio di risorse d’ogni tipo e le interazioni, sempre auspicabili, trovano grandi possibilità di attecchire. Di certo, se le comunicazioni intellettuali non trovano ostacoli, se non di mera stupidità, quelle materiali hanno di che soffrire per via della totale assenza di infrastrutture viarie o per la loro fatiscenza. Fortuna vuole che oggi si riesce a comunicare… sorvolando via etere. Ordunque, in estrema sintesi, l’area dello Stretto si palesa come un tutt’uno geografico variegato nelle sue componenti socio culturali, la cui assimilazione viene resa piuttosto difficile da una incomunicabilità fisica e psicologica. Tutto da abbattere. Come dire che abbiamo creato l’area metropolitana, giuridicamente, ora dobbiamo “creare” i metropolitani. La storia si ripete: abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani, fu detto a suo tempo. Personalmente, ritengo il riconoscimento del Parlamento Italiano, lasciamo stare come delineatosi, una grande opportunità per questo estremo lembo d’Italia. Non v’è dubbio, che il potere contrattuale di un’area, a cosi ad alta densità abitativa, ricondurrà a più miti consigli tutti coloro i quali, dal nostro status di regione marginale e periferica, ne hanno tratto vantaggio. Penso alla grande fortuna di poter disporre di una metropoli con più di quattro porti. Ognuno dei quali, con caratteristiche diverse, tali da rispondere alle diverse esigenze della portualità internazionale: dal traffico delle merci, la cui naturale sede è quella di Gioia Tauro, a quella dei passeggeri delle grandi compagnie di navigazione che hanno il monopolio delle crociere, con Messina disponibile ed attrezzata, al diportismo, che vedrebbe in Reggio la sua naturale collocazione in link con Villa San Giovanni. Insomma, una rete portuale di un’unica città con loci pluriattrezzati e specifici. Quale altro posto del mondo potrebbe offrire una così vasta opportunità? Quante risorse, quanto indotto! Immagino una serie di collegamenti interni a questa rete che rappresenterebbe una risorsa non solo per i contatti con il resto del mondo ma un servizio per gli scambi intra area metropolitana. Ciò che, appunto, manca allo stato attuale. Un ingente investimento in questo settore farebbe decollare definitivamente l’area di Gioia Tauro, inducendo i grandi investitori, primo fra tutti lo Stato Italiano, ad infoltire le iniziative su tutta l’area, tanto da renderla appetibile più di quanto non lo sia stata fino ad oggi. Un sistema portuale siffatto, unico al mondo, farebbe da volano a tutti gli altri settori produttivi e renderebbe, davvero questa nostra terra, un’altra cosa. Bisogna crederci, ma soprattutto lavorare per questo. Lasciando da parte, una volta per tutte, sciocchi campanilismi e disfattismi di maniera. La politica dell’arroccamento, del clientelismo e dell’effimero non troverebbero più terreno concimato dal bisogno e dall’incultura. Fertilizzanti eccellentim perché trionfi la pochezza. Qui ed ora il progresso e lo sviluppo devono prendere il sopravvento. Ora, senza rinvii.