25 settembre 2005
La mia posizione politica, ancorché non codificata da una tessera di partito è, ai più, nota. Ma il mio dire su quello che è accaduto ieri nella nostra Città non è assolutamente spinto né da motivazioni ideologiche, né da spirito di appartenenza. Piuttosto, dalla grande considerazione che ho per i miei concittadini e dall’amore per la mia Reggio che, se fosse possibile, indicherei come aumentato a dismisura da ieri. A guisa di un padre che vede i suoi figli derisi ed offesi e li difende con il suo affetto. Contro tutti. Fatto si è che ieri a Reggio abbiamo assistito ad un rinnovato scatto di orgoglio, equiparabile solo a quello degli anni Settanta. La differenza è che allora la violenza fu considerata l’unica arma possibile per difendersi da un Governo ingiusto e patrigno, oggi la compostezza, la dignità e l’orgoglio sono state la trincea dietro la quale si tenta ancora una volta di difendere Reggio Calabria e tutto il Meridione. Il riferimento evidente è alla calata del lanzichenecco governo che, forte dei suoi mercenari (100 euro la paga per ogni lùmbard sceso coi cavalli… di ferro), si è presentato al PalaCalafiore (chissà il povero Franco come si sarà rigirato nella Tomba) per arrogantemente cercare di convincerci come la “devolution” sia il toccasana per la gente del Sud. Permettetemi per un attimo, di non entrare nel merito della grottesca questione, che vorrebbe convincerci che l’asino vola o, se preferite, che il gatto è diventato amico del topo. Soffermiamoci, invece, su due momenti concomitanti o meglio sulle due, per così dire, assemblee svoltesi ieri a Reggio. La prima, ma solo per ordine di tempo, caotica, sponsorizzata, chiassosa con tanto di bandiere e con uomini adusi allo spettacolo in un alternarsi di grida, slogan e dichiarazioni assolutamente prive di contenuti. Una per tutte quella del senatore Nania, originario di Messina (e ce ne dispiace), secondo il quale, l’attuale governo di centro-destra sarebbe il miglior tutore degli interessi del Sud. Per poi passare ad interventi che nulla hanno avuto a che fare con le tanto attese spiegazioni sulla validità della devolution per la tutela degli interessi del Sud, come quello del Sindaco della città che ha esordito – riteniamo per spararsi le migliori cartucce – dichiarando la sua netta contrapposizione al matrimonio tra gay! Con tutto il rispetto dovuto ai gay, vorremmo dire al primo cittadino che con la devolution la cosa “ci azzecca poco”, anzi per nulla. È evidente la carenza assoluta di motivazioni serie e, vorremmo sperare, il pieno convincimento – soppresso dall’appartenenza politica – che la devolution altro non è che veleno per il Sud. L’unica nota positiva della kermess è che, al Palazzetto dello Sport, i reggini erano davvero pochi. E quelli che c’erano hanno, di fatto, perso moralmente il diritto di cittadinanza. Non è possibile fingere di non sapere cosa vuoI dire la separazione dei beni – perché di questo si tratta – tra il Sud ed il Nord. In un paese solidale, come il nostro, la redistribuzione delle risorse è vitale. Di fatto, negli anni del dopoguerra, il Sud è stato tributario del Nord di forza lavoro (chi potrà mai dimenticare le valigie legate con lo spago dei nostri emigranti?) che lo ha reso ricco ed opulento senza nulla dare in cambio. Oggi, magari, non ci sarà più lo spago, ma il tributo intellettuale continua e si incrementa sempre di più. Non è tollerabile che alla ragion di partito si sacrifichino gli interessi legittimi del popolo del Sud. Non è tollerabile che il Meridione diventi merce di scambio per gli intrallazzi elettorali del governo, che vorrebbero vendere alla Lega, la devolution, in cambio dell’alleanza a tutti i costi con Forza Italia. Mi sono sentito orgoglioso di essere reggino, calabrese e uomo del Sud, quando invece ho varcato l’ingresso dell’Auditorium che porta – da ieri ancor più emblematicamente – il nome di un grande concittadino. Già l’atmosfera era rasserenante. Non grida. Non slogans. Non bandiere. Ma gonfaloni dei comuni calabresi, fasce tricolore che ci accomunano in un brivido patriottico, che in noi prevale ogniqualvolta abbiamo modo di sentirci Italiani. Facce sorridenti in una aggregazione spontanea non prezzolata, ma, soprattutto CALABRESE. Non 100 Euro a persona ma l’orgoglio di partecipare alla difesa non cruenta della Città’ e dell’intero Sud. La differenza si è colta nei servizi televisivi. Anche delle TV di parte. Si può manipolare l’immagine quanto si vuole, ma non si può far vedere quel che non c’è, o non c’è stato. La compostezza del vero popolo reggino e calabrese, la dignità dei comportamenti di istituzioni, uomini politici e semplici cittadini è apparsa in tutta la sua autorevole austerità. Bello è stato annoverare reggini doc che, pur facendo parte di schieramenti amministrativi non di Sinistra, hanno sentito alto il dovere di difendere la propria indipendenza e, di converso, la propria città, presenziando. Senza rumore. Con dignità e ben sapendo di non tradire nessuno: soprattutto il 23 mandato dei cittadini. Valga per tutti, come esempio, l’assessore Vanna Argentino Mazzitelli. Certo, qualche intruso c’era. Qualcuno che fino a ieri era intruppato a Destra, ma aduso com’è a prendere incarichi di qua e di là, si è fatto consigliare da padre Dante: “quando si parte il gioco della zara, colui che perde se ne sta in disparte, ripetendo le mosse e tristo impara… con l’altro se ne va tutta le gente”. Ma il teatro e la vita non son la stessa cosa. Ed è tempo che solo la coerenza paghi. Non altro. Ma i piccoli nei, in contrapposizione alle macchie colossali del Pentimele, sono scomparsi come neve al sole, allorquando il Presidente Bova, un uomo che sembra nato per ricoprire quell’incarico, ha esordito col citare la libertà, come baluardo da difendere già al tempo della Scuola, che con la devolution diventerebbe fucina di prevaricazione. Ricordate quando sugli annunci economici si ricercavano professionisti NON laureati nelle università’ del Sud? In un crescendo rossiniano, si sono succeduti interventi di grande spessore interrotto solo da applausi a scena aperta. Composti ma fragorosi. Loiero, con quel fare da docente Prodiano, ha spiegato senza mezzi termini che non si può non aiutare chi è povero, ed ha superato se stesso quando ha affermato con Tucidide che” non tutti possono fare politica, ma tutti devono comprenderla. Come dire che la devolution non è fatta per iniziati, ma i suoi malefici effetti devono essere compresi da tutti, per evitare che una legge assurda possa divenire legge dello Stato. Pignataro e Sbarra hanno denunciato a chiare lettere che la provocazione del Governo altro non è che una minaccia pazzesca contro i cittadini che loro sindacalmente rappresentano. Segno che il lavoratori hanno ben compreso quello che altri fa finta di non capire. Ma l’apoteosi della logica, del sentimento popolare laico e cristiano allo stesso tempo, è aleggiata e si è impossessata di tutti ma proprio di tutti quando la parola è passata a Mons. Agostino. Ogni libertà è veramente tale se non salva interessi di pochi! Ha tuonato, pacatamente ma con la fermezza di colui che è abituato a parlare in nome di Dio. La disamina della questione meridionale è stata di una precisione giornalistica, storica e morale da farmi andare col pensiero al recente incarico attribuitomi e che mi accingo ad espletare con quel rigore cui sono stato abituato. Lo sviluppo, ha detto Mons. Agostino, in Calabria è incompiuto, distorto e dipendente. Sul primo aggettivo poco da aggiungere che non lo dica il termine stesso. Distorto perché non è in linea con le reali possibilità ambientali e culturali del nostro territorio. Un po’ il concetto 24 delle fabbriche di ghiaccio in Siberia. Dipendente, perché il vezzo della raccomandazione è radicato.Tra la sana ilarità generale ha detto che oggi si pregano più i Santi in terra che quelli in paradiso. Per spiegare, serenamente, l’assurdità della devoluzione governativa, ha dimostrato come non ci può essere bene comune nella boscaglia degli interessi e come sia molto più giusto che l’uomo politico serva, anzichè si serva degli elettori. Ma l’applauso è stato scrosciante quando ha gridato l’orgoglio di essere calabrese e l’esortazione a non ricorrere alla vittimistica lagna, ma alla proposizione, convinto con Giovanni Paolo II – che ha citato – che il Sud deve salvare l’Italia in una sorta di sviluppo che abbia un’anima in contrapposizione ad uno sviluppo senza anima che caratterizza il Nord italiano. Identità, solidarietà e sostenibilità alla base della lotta contro la devoluzione. Se Mons. Agostino ha scosso le coscienze etiche dei numerosissimi presenti, Marco Minniti ha risvegliato i mai sopiti sensi di appartenenza politica, culturale e geografica. Qui siamo tutti calabresi! Ha esordito. Perché è dai calabresi che deve giungere la soluzione ai problemi della Calabria. L’intervento, di chiaro taglio politico, ha fatto comprendere anche quali siano i risvolti morali… Se vogliamo è stata la giusta integrazione a quanto detto da Mons. Agostino. Laddove l’alto prelato si è fermato per compassione cristiana, Minniti ha parlato di cinismo politico, attribuendolo a chi, negli anni, ha raccolto larga messe di voti in Città. Il chiaro riferimento è stato a Fini. Reggio, dunque, ieri non si è spaccata in due, come qualcuno avrebbe voluto. Reggio, almeno quella serena, era tutta da una parte. Dall’altra c’era solo un’orda barbarica, in una sorta di contro spedizione dei Mille. Di “quarto” solo… il vino! Un grazie, però, all’onorevole Berlusconi va detto. A parte la radicale pulizia, straordinaria, dei luoghi da lui visitati, abbiamo avuto modo, grazie alla sua brillante discesa a Reggio (ed è la terza, che speriamo abbia lo stesso effetto delle prime due) di vedere in faccia – senza veli o burka – chi veramente ama il Sud e questa nostra bella città e chi se ne serve per aggettivare politicamente il suo cognome, altrimenti spoglio e disadorno!!!!! Ad intelligenti pauca.